da Patricia | nov 25, 2016 | Da gustare
C’è una grande disputa sul confine tra Basilicata e Puglia, nel sud Italia. La lotta non è politica ne geografica, ma legata alla fama di un prodotto territoriale considerato sacro dagli abitanti del posto. Stiamo parlando di un paese della Puglia, Altamura e uno della Basilicata, Matera. Queste città si contendono il trono per il miglior pane dell’Italia meridionale. Mentre Altamura ha acquisito sempre maggiore riconoscimento per l’eccellenza della sua variegata panificazione (pane, focacce, biscotti, taralli …), Matera è principalmente impegnata nel mantenere la tradizione “sacra” del suo pane. Siamo stati in entrambe le città e abbiamo verificato di persona la superiorità delle due scuole di panificazione. Abbiamo quindi concluso che ad Altamura, la focaccia regna assoluta e indiscutibile (la migliore che abbiamo assaggiato nella nostra vita); ma riguardo al pane, pensiamo che Matera abbia qualcosa in più. Prima che qualcuno cominci a protestare per la nostra affermazione, vogliamo essere chiari: questo è il nostro personalissimo parere!!! A Matera, il pane è l’ultimo simbolo della resistenza di un popolo nato tra le rocce delle montagne. La città è uno dei rari esempi al mondo di continuità abitativa dal periodo neolitico ad oggi, più di 10 mila anni di storia che continua. Vuoi conoscere meglio la Basilicata? Clicca qui “Il neolitico è il periodo storico in cui l’essere umano migliora la coltivazione dei terreni. All’inizio si trattava di diverse varietà di cereali. Ecco, come tutto si riconduce qui a Matera e alla lavorazione del pane”, ci ha dichiarato Massimo Cifarelli, presidente del Consorzio di Tutela Pane di Matera IGP durante la nostra visita al Panificio Cifarelli, nel centro di Matera....
da Patricia | nov 10, 2016 | Calabria (Da gustare)
“Appena 30 anni fa, neanche nella vicina Tropea sapevano bene cosa fosse la ‘nduccia’”. Questa affermazione con pieno accento “spilingo-calabrese” è stata fatta da Francesco Fiamingo, presidente del Consorzio ‘Nduja di Spilinga, durante il viaggio di mezz’ora da Tropea (dove alloggiavamo) e la piccola Spilinga. La ‘nduja, che fino a poco fa era una “illustre sconosciuta” anche per gli italiani, è stata il motivo che ci ha portato non solo al suo paese di origine, ma alla propria Calabria. Abbiamo conosciuto questo tipo di salume attraverso un grande amico calabrese che, conoscendo la nostra passione per il cibo piccante, ci ha regalato un pezzo di ‘nduja per farcela conoscere, ed è stato amore a prima vista! (Si, ci piace molto avere cibo come regalo, sappiatelo! ;)). Vedi altre foto della nostra visita a Spilinga Quindi, se la Calabria è famosa per essere la terra del peperoncino in Italia, la ‘nduja di Spilinga è senza dubbio la sua regina. Questo salume profumato e piccante facilmente spalmabile come fosse burro, non ha davvero eguali. Il ripieno è fatto con pezzi selezionati di carne di maiale (pancetta, guance e dal grasso intercostale) macinato e miscelato con tre tipi di peperoncino nella proporzione del 30% del suo peso. Le varietà di peperoncini utilizzati sono: il corno di toro (più dolce), il naso di cane (più piccante) e il rotondo o “capeggiaro” (in dialetto). Contrariamente a quanto si possa immaginare, la combinazione di queste varietà di peperoncini non rendono la ‘nduja eccessivamente piccante, bensì profumata e aromatica, con piccantezza presente ma piacevole. Nella scala di Scoville, utilizzata a livello internazionale per misurare il grado...
da Patricia | ott 25, 2016 | Da vedere, Sardegna (Da vedere)
Possiamo dire che la Sardegna è stata una dei posti che eravamo più ansiosi di conoscere. In primo luogo perché è stata l’ultima tappa del nostro viaggio e la sensazione che l’avventura stava per finire ci ha lasciato un misto di dispiacere e euforia. In secondo luogo, perché l’isola è una regione dove non eravamo mai stati, quindi condividevamo una grande curiosità nel conoscerla. Questa ansia è aumentata nei due giorni prima del viaggio, per diversi motivi: Maria ha avuto una gastroenterite abbastanza grave e si è indebolita parecchio. La mattina della partenza, però, si è svegliata senza febbre, con un visino più allegro quindi abbiamo deciso di prendere l’aereo all’ultimo momento. Solo cinquanta minuti di volo da Napoli verso la Sardegna e già mentre sorvolavamo l’isola ci siamo resi conto che stavamo raggiungendo una zona completamente diversa di tutto ciò che avevamo visto fino ad ora in Italia. Dopo aver viaggiato in tutto il paese, possiamo dire che ci sono tre regioni che si diversificano completamente con l’idea comune che si ha dell’Italia: Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta e Sardegna. Non ci sorprende che queste tre regioni sono giuridicamente autonome, con un sistema amministrativo indipendente e bilinguismo regolamentato. L’Alto-Adige è praticamente come l’Austria. La Valle d’Aosta una piccola Svizzera. Mentre la Sardegna è un mondo a parte. Leggere anche: Mamoiada, il vino cannonau e il folklore dei Mamuthones È praticamente la regione più isolata del paese, l’isola è considerata un paradiso naturale. Senza dubbio possiede le spiagge più belle d’Italia, alcune addirittura tra le più belle che abbia mai visto! (E se lo dice una brasiliana questo non è poco;)...
da Patricia | ott 9, 2016 | Da vedere, Sardegna (Da vedere)
È stato il nostro amico Maurizio Cheri, il nostro host al suo B&B Al Vicoletto, che ci ha parlato di Gairo Vecchio, dicendoci: “Non si può fare a meno di andarci”, mentre ci elencava tutte le destinazioni consigliate della Ogliastra, nel centro della Sardegna. Considerata la regione più isolata e incontaminata d’Italia, non c’è da meravigliarsi che la Sardegna ha diverse città fantasma. Secondo il sito “Sardegna abbandonata” (specializzata nella ricerca di territori e strutture dimenticate), ci sono almeno 16 comuni fantasmi sull’isola. Gairo Vecchio è il più famoso. Vedi altre foto della nostra visita a Gairo Vecchio Seguendo la strada provinciale SP11, in pochi minuti dopo aver attraversato la città di Osini, si incontra Gairo, incastonata tra le montagne del Gennargentu. È stupenda la vista di due città vicine e di fronte a diversi livelli della montagna. La città fantasma, completamente abbandonata e sopra la nuova Gairo, costruita negli anni ’50 per ospitare i residenti della città originaria. Infatti, tre città sono state costruite per sostituire la vecchia: Gairo Sant’Elena (che abbiamo visto sopra il vecchio e viene chiamato solo Gairo) Taquisara e Cardedu (queste ultime due più distanti dalla zona originale). Leggi anche: Mamoiada, il vino cannonau e il folklore dei Mamuthones Non esiste alcuna registrazione accurata delle origini di Gairo Vecchio. Secondo l’amministrazione comunale, la città è citata per la prima volta solo in un documento del 1217, ma molti studiosi sostengono che la sua origine è molto più antica. La ragione del suo abbandono è legata a disastri climatici. In greco, la parola Gairo significa “terra che scorre” ed è stata proprio l’incidenza costante ed eccessiva delle tempeste che...
da Patricia | ott 6, 2016 | Da vedere, Sardegna (Da vedere)
Per Aldo, uno dei posti obbligatori durante il nostro passaggio in Sardegna era la piccola Mamoiada, nella zona della Barbagia. Anche se lontana dal mare e inizialmente senza particolari attrattive gastronomiche, Aldo era incuriosito dall’idea di conoscere i mamuthones. Siamo stati sul posto in una giornata nuvolosa, quindi abbiamo detto: “niente mare per oggi” e ne è valsa la pena! I mamuthones sono il personaggio principale del Carnevale sardo. La figura è rappresentata da maschere grottesche di legno dipinte nero, con un abito davvero particolare (quasi tutto in nero e con grossi campanacci sulle spalle). Durante le manifestazioni, sono accompagnate da personaggi antagonisti : gli issohadores, i quali indossano maschere bianche, ugualmente in legno, con abiti colorati. Si tratta di una rappresentazione della corrispondenza tra le forze della natura. Non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza dei mamuthones con altre manifestazioni del folklore del nord-est del Brasile. Anche se non ci sono testimonianze certe sulla provenienza delle maschere, alcune delle teorie più attendibili dicono che sono state già utilizzate prima di Cristo dalle comunità dei pastori e contadini sardi, come rituali atti ad influenzare il clima e il raccolto dell’anno, o per rappresentare la lotta tra Mori e i sardi per il possesso dell’isola. Tutta la tradizione popolare dei mamuthones e issohadores è raccontata nel Museo delle Maschere Mediterranee, che si trova nel centro della città. Il museo è operativo dal 2001 e ha una collezione completa, con riferimento ad altre manifestazioni carnevalesche nel Mediterraneo. Un altro luogo interessante per conoscere meglio questa tradizione è il laboratorio dello scultore Antonello Congiu. Poco lontano dal museo, il...
da Patricia | set 7, 2016 | Campania (Da gustare), Da gustare
Situata tra Maiori e Vietri sul Mare, Cetara è uno dei 13 comuni che fanno parte della Costiera Amalfitana. Come quasi tutti i paesini della costiera, il comune di circa 2.340 abitanti in estate è invasa da orde di turisti per ogni singolo angolo delle tre piccole spiagge del suo litorale. Ma le bellezze di Cetara non si limitano a “sole e mare”. Infatti il paesino ha molto più da offrire oltre un bagno nelle sue spiagge. Nel porto di Cetara vengono scaricati ogni giorno tonnellate di un tipo di pesce che ha catapultato la città nella posizione di tappa gastronomica obbligatoria della costa tirrenica meridionale: le alici. Pescata in tutto il Golfo di Salerno, è stato a Cetara che l’alice ha guadagnato il podio di pesce di ampio uso in cucina! Conservate sotto sale, in olio di girasole, o meglio ancora olio d’oliva, come materia prima per varie salse, l’alice è la regina della cucina cetarese ed è onorata in ogni angolo della città. Vedi altre foto della nostra visita a Cetara Un particolare prodotto, tuttavia, si impone su tutte le altre ricette per la sua unicità e importanza. La colatura di alici può non sembrare molto appetitosa quando la si descrive. È una “salsa” ottenuta per disidratazione e decomposizione della alici pressate e mantenute in una alta concentrazione di sale. Succo di pesce salato?! Questo è esattamente quello che ho pensato la prima volta che Aldo mi ha parlato della colatura di alici, e confesso che la sua peculiarità non mi ha svegliato molto l’appetito! Ma ho completamente cambiato idea un paio di mesi dopo, quando Aldo...
da Patricia | ago 23, 2016 | Da gustare
Lo ammettiamo, il giorno prima della partenza per la Basilicata, non conoscevamo ancora l’esistenza del pecorino canestrato di Moliterno. Abbiamo avuto modo di conoscere questo formaggio in una conversazione con il nostro amico Luigi, quando stavamo stabilendo il percorso del viaggio, visto che la Basilicata è stata la prima regione in cui abbiamo dovuto lasciare i mezzi pubblici e prendere la macchina. Purtroppo, non abbiamo potuto fare altrimenti perché la Basilicata, insieme a Calabria, Sicilia e Sardegna, è la peggiore regione italiana per andare in giro con i mezzi pubblici (o non esistono o sono molto rari). Per fortuna, abbiamo avuto Luigi, autista molto competente, grande conoscitore del sud Italia, che ha esercitato la funzione tripla di autista, guida esperta ed amico. Moliterno è un piccolo comune di circa cinquemila abitanti della provincia di Potenza, situato proprio al confine tra Basilicata e Campania. Il comune si trova in una zona conosciuta come Valle dell’Agri storicamente utilizzata come area pastorale e di incredibile bellezza. Il formaggio locale famoso, il pecorino canestrato, appartiene alla vecchia tradizione di Lucana (per chi non lo sapesse, la Lucania era una regione storica dell’antica Italia che comprendeva quasi tutto il territorio attuale della Basilicata e alcune piccole parti di Campania e Calabria). Ci sono registrazioni di questa produzione già nel 1700. È un formaggio a pasta dura stagionato ottenuto da una miscela di pecora e latte di capra, e la percentuale di quest’ultima varia dal 10% ad un massimo del 30% nella composizione. La ragione della miscela di latte è nell’allevamento di bestiame della zona, storicamente miscelato. Stagionatura Secondo il consorzio che sovrintende la certificazione...
da Patricia | lug 27, 2016 | Da vedere
Dimenticate tutto quel che abbiamo detto finora riguardo le difficoltà del viaggiare con i mezzi pubblici in Italia. Il nostro viaggio in Molise ci ha aperto una nuova serie inimmaginabile di guai! Ci sono volute quattro ore per percorrere i 75 km che separano Sulmona (in Abruzzo) da Isernia (Molise). La cosa peggiore è che la difficoltà non era tanto il tempo in se, ma come il percorso è stato fatto. Per arrivare ad Isernia, abbiamo dovuto utilizzare quattro autobus. Sì, QUATTRO AUTOBUS! Perché non c’è nessun treno che collega le due città. Fin dall’inizio, sapevamo che avremmo avuto problemi a viaggiare tra le due regioni. Nel 2011, la linea ferroviaria che collega Sulmona e Isernia non esiste più, e non si sa se e quando si riattiverà! Secondo la RFI (istituzione che gestisce la maggior parte del sistema ferroviario in Italia). Così abbiamo saputo che avremmo dovuto prendere due autobus: da Sulmona a Castel di Sangro e un altro da lì ad Isernia. Sarebbe quindi un po’ complicato perché, a differenza dei treni regionali, negli autobus non c’è spazio per “parcheggiare” il passeggino, quindi abbiamo avuto bisogno di chiuderlo e metterlo nel bagagliaio o nel piccolo spazio tra i sedili. Questo significa che bisogna sganciare due borse, uno zaino e una custodia della macchina fotografica visto che il nostro passeggino, oltre Maria, porta a mosaico tutto questo! Per non parlare degli altri due zaini che portiamo in spalla e il trolley. Prendere due autobus per noi significa fare e disfare tutto il nostro mosaico di bagagli due volte. La nostra situazione è stata ulteriormente complicata quando ci hanno...
da Patricia | lug 11, 2016 | Da gustare
Siamo andati a Livorno con un’idea fissa: provare il cacciucco. La nostra ansia è aumentata ulteriormente, perché ci siamo arrivati nel bel mezzo dei preparativi del primo festival gastronomico della città. Mancavano solo due giorni per il “Cacciucco Pride”! Il nome dell’evento rende già chiaro l’importanza del piatto nella cucina locale. Il cacciucco è considerato dai livornesi una sintesi della loro società di quasi 160.000 abitanti. Si tratta di una zuppa fatta con diversi tipi di pesce e frutti di mare, condita con sale, pepe, peperoncino, pomodoro, vino bianco, olio extravergine di oliva e tanto aglio, arricchito con fette di pane tostato (con aggiunta di aglio anche sul pane) e cotto per diverse ore, aggiungendo ogni tipo di pesce in base al diverso tempo di cottura . Questo piatto risale alla fine del diciassettesimo secolo ed stato creato per utilizzare le rimanenze della vendita dei pescatori, non necessariamente “scarti”, ma comunque pesce ancora fresco da utilizzare. Per i livornesi questo mix di pesce è sinonimo della mescolanza razziale degli abitanti , storicamente uno dei porti più aperti alle migrazioni in Italia. Quindi con tutta questa presentazione, il nostro primo pensiero è stato il voler conoscere questo piatto: il caciucco, la cui origine del nome ha tre versioni credibili che parlano di eredità turche, spagnole e vietnamite! Clicca qui per conoscere anche un’altra zuppa di pesce italiana: il brodetto di Fano! Dopo una buona ricerca e tante chiacchiere con i livornesi e chi frequenta livorno, eravamo in dubbio tra tre ristoranti: La Barcarola, Galileo e Melafumo. Per una questione logistica (Da Galileo era troppo fuori mano e a Melafumo avremmo dovuto chiamare in...
da Patricia | lug 11, 2016 | Ricette
La ricetta serve di quattro a sei persone (ricordando che, pure se ci sono pesci especifici qui, la ricetta tradizionale del cacciucco è aperta a diversi tipi di pesci) Ingredienti 500g di seppie nostrali 500g di polpi di scoglio 300g di palombo fresco 500g di pesce da zuppa (gallinelle, cappone, scorfano) 300g di cozze 500g di cicale o altri crostacei Vino bianco 500g di pomodoro pelati 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro Olio Aglio Salvia Peperoncino 12 fette di pane posato, arrostito e agliato Modo di preparo 1. Mettere al fuoco una casseruola con fondo d’olio di olive, aglio e salvia, peperoncino e i pomodori pelati. Soffrigere. 2. Quindi mettere polpi e seppie tagliati a troccoli, bagnare con vino bianco, aggiungere il concentrato di pomodoro e cuocere per 20 minuti rimestando. 3. Mano a mano rovesciare i pezzi da zuppa e il palombo tagliato. 4. Le teste dei pesci andrebbero cotte in brodo con gli odori e passate. 5. Il ricavato, abbastanza denso, versato nella casseruola, accrescerebbe sostanza e sapore al cacciucco. 6. Seguire la cottura a fuoco lento ma energico. 7. Quando polpi e seppie sono diventati teneri, aggiungere i crostacei e i frutti di mare con i loro gusci. 8. Andare avanti per oltre 6-7 minuti affinché le cozze si aprano. 9. Il pane agliato e abbrustolito va posto sul fono delle terrine. 10. Con un ramaiolo, attingere pesce e sugo dalla casseruola in parte eque. Fonte: menu La...